[Intervista] DRAMANDUHR
Dramanduhr è una creatura molto particolare, dietro la quale si cela un musicista siciliano, ovvero Stefano Eliamo. Dopo il buon riscontro avuto col primo album "Tramohr", Stefano sembra averci preso gusto e realizza un secondo album che segue ed evolve quel concetto molto personale di progressive/avantgarde black metal a nome "Vertuhn". Parliamo di molte cose con lui. Buona lettura!
1 - Ciao e benvenuti! Cominciamo parlando in generale di "Vertuhn"!
Ciao e grazie per l’invito. Vertuhn è il secondo capitolo del progetto Dramanduhr, e rappresenta una discesa nel blu notte dell’anima, una fase di ritiro, oscurità e trasformazione interiore. Le tracce che compongono l’album erano già pronte da tempo, essendo state scritte in coda alla lavorazione di Tramohr. Ma nonostante ciò, ho voluto aspettare il momento giusto per pubblicarle — un momento in cui sentissi di essere davvero allineato con me stesso e con ciò che l’universo mi stava chiedendo di fare. In quel periodo attraversavo una profonda crisi depressiva, una condizione che conosco bene e che torna ciclicamente nella mia vita. Non sapevo nemmeno se volessi davvero tornare a far parlare di me. Spesso provo un certo disagio per la dinamica narcisistica che accompagna la figura dell’artista: il bisogno costante di visibilità, di attenzione, di approvazione. Ero quasi tentato di restare in silenzio. Poi, una notte, qualcosa si è mosso. Riascoltai l’album in cuffia e sentii che quelle canzoni erano vive, come se mi stessero chiamando. Fu in quel momento che emerse con chiarezza l’identità visiva: Vertuhn era un disco blu notte. E proprio allora quel titolo, già presente nella tracklist, diventò il nome perfetto per l’intera opera. Se Tramohr era la soglia infuocata del vulcano, il fuoco e il battesimo, Vertuhn è l’inverno, il ritiro, la trasformazione attraverso il buio. È un disco che intreccia metal, folk mediterraneo ed elettronica rituale, cantato in una lingua inventata — il Dahrmonium — nata da stati di trance e bisogno di liberazione. Vertuhn non ti accompagna per mano, ma ti chiama a scendere dentro di te. È un’opera più stratificata, più matura, e segna per me una rinascita attraverso il suono.
2 - Quali sono le tue influenze musicali presenti e passate? E che ruolo hanno avuto nella composizione di "Vertuhn"?
Le mie influenze da ascoltatore sono sempre state lontane dal metal. Sono cresciuto con U2, Beatles, Oasis, R.E.M., Cranberries — artisti in cui melodia, parola e intensità emotiva erano centrali. Poi in un secondo momento della mia vita ho scoperto il metal ma ero interessato sempre a band che mantenevano un’architettura dei brani più orecchiabile e meno estrema, Him, Rammstein, Linkin Park, Korn. Per me è sempre stata importante la melodia vocale riconoscibile e magari da fischiettare mentre guidi o fai altro. Allo stesso tempo, ho sempre sentito una forte attrazione per mondi più arcaici e rituali: il flamenco, le musiche popolari del Mediterraneo e dei canti antichi. Tuttavia, Vertuhn non è il risultato diretto di queste influenze. È piuttosto il frutto di una ricerca personale, istintiva, dove anche le mie radici greche e siciliane hanno cominciato a parlare. Non ho cercato di somigliare a qualcosa: ho solo cercato di liberare una voce che avevo dentro, e che prima non sapevo come ascoltare.
3 - Parliamo dei testi, espressi con una lingua da te creata, ovvero il "Dahrmonium". Come mai questa scelta singolare?
Il Dahrmonium è una lingua inventata che nasce da uno stato di trance e glossolalia — una forma di espressione senza significato logico, simile a quella che si ritrova in certi rituali religiosi o stati visionari. Tutto è iniziato per caso, registrando delle parole senza senso per creare una metrica. Ma poi ho sentito che quei suoni erano veri, più veri di qualsiasi testo scritto. Ho capito che non volevo dire qualcosa, volevo evocare. Il Dahrmonium è la mia maniera di bypassare la mente razionale e parlare direttamente all’inconscio, come fa la musica rituale, come fanno i sogni.
4 - Da quanto esiste Dramanduhr e come è nato il progetto?
Dramanduhr è nato simbolicamente il 25 dicembre 2020, in seguito a un piccolo evento domestico: un calice che si ruppe sul pavimento. Quel gesto banale accese in me una rabbia antica e mi fece sentire che qualcosa si stava aprendo. Avevo appena chiuso un progetto indie-pop e mi sentivo svuotato, “morto”. Da lì è nato il primo brano, che chiamai inizialmente Idea Post Mortem, poi diventato Ixaltirud. Poco dopo, in una notte insonne, cominciai a ripetere suoni come dram, dur, duhr finché non mi saltò alla mente la parola Dramandur: ci aggiunsi una h, e così nacque Dramanduhr, la mia nuova identità.
5 - Come pensi che si evolverà il tuo sound in futuro?
Il mio obiettivo è mantenere la mia firma, senza ripetermi. So che è difficile: la coerenza rischia di diventare prigione, ma la fuga dall’identità rischia di diventare dispersione. Sto lavorando al terzo capitolo della “Trilogia del Vulcano”, e il suono si sta aprendo a nuove timbriche, voci femminili, strumenti acustici, registrazioni sul campo. Sento che il prossimo passo sarà più atmosferico, forse più cinematografico, ma sempre con un’anima rituale. La direzione non è verso un genere, ma verso una necessità.
6 - Se dovessi convincere un nuovo ascoltatore a scegliere la tua musica e a scoprirla, come cercheresti di convincerlo?
Gli direi: non ascoltare Dramanduhr per cercare canzoni, ascoltalo se cerchi un passaggio. È un’esperienza, non una playlist. Se hai bisogno di sprofondare, di lasciarti trasportare da un flusso emotivo e simbolico che parla più all’inconscio che alla ragione, allora potresti trovare qualcosa. Non è musica facile, non consola. Ma è vera. E se ti chiama, ti riconoscerai.
7 - A livello di live stai pianificando qualcosa di importante?
Dramanduhr è nato come progetto da studio e vive soprattutto nel mio spazio interiore. Non è pensato per il palco tradizionale. Tuttavia, mi piacerebbe un giorno realizzare un’esperienza performativa immersiva, più vicina a un rito che a un concerto. Magari in luoghi simbolici: cripte, cave, ex conventi, spazi naturali. Quando sarà il momento giusto, arriverà anche la forma scenica. Ma non voglio forzarla.
8 - Il sogno più grande per te come musicista qual è?
Il mio sogno è lasciare un’impronta rituale nel tempo. Non cerco il successo commerciale, ma un’eredità, anche piccola, che sopravviva a me. Vorrei che un giorno qualcuno trovasse una copia fisica o digitale di Dramanduhr, e che sentisse che lì dentro c’è qualcosa di vero e di originale. Vorrei essere ricordato per aver donato al mondo un linguaggio autentico, senza compromessi. So quanto è difficile non cadere nella banalità, ma Dramanduhr è il mio tentativo più sincero di non tradirmi mai.
9 - A te le ultime parole. Un saluto!
Vi ringrazio di cuore per questo spazio e per aver accolto la mia voce fuori dal coro. Dramanduhr è un progetto che nasce dalla notte, dal fuoco e dalla pietra. Ma è anche un invito: a ritrovare dentro di sé un suono dimenticato, un rituale smarrito. L’album Vertuhn è disponibile in streaming e in versione CD.
Un abbraccio e… che il rito continui.
Stefano Elìamo / Dramanduhr
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