[Recensione] KAZAH "Feed Your Beast"
Full-length, Ghost Label Record
(2017)
Per una volta, mi sento di iniziare la recensione con un plauso all'attività della label, prima che del gruppo. A chi come me segue da tempo il roster della Ghost Label Record non sarà sfuggito l'innalzarsi del livello qualitativo delle band prodotte o semplicemente distribuite, come nel caso dei Kazah. Intendiamoci, l'etichetta preserva il suo taglio a 360%, senza velleità specialistiche come avviene da sempre, ma è indubbio il fatto che stia totalizzando una serie di collaborazioni molto interessanti negli ultimi tempi.
Fatta la dovuta premessa, parliamo dei Kazah, un quintetto ungherese in giro dal 2014 e ora fuori con il disco di debutto, “Feed Your Beast”: otto tracce groovy e pesanti che ricordano molto i fasti del power core anni '90, non mancando di dispiegare come influenze primarie gente come i Pro-Pain e tutto quel filone legato ai nostrani Flash Terrorist e Addiction 96. Prima di essere frainteso, lo dico chiaramente: i Kazah non fanno industrial, né hanno inserti legati a quel genere, ma la costruzione “compatta” delle loro composizioni non può che ricordare quanto seminato dai Fear Factory ormai quasi trent'anni orsono, anche se solo dal punto di vista strumentale, con un rifferama melodico che fa da contrappunto alla monolicità delle vocals. Nessuna concessione a respiri melodici di scuola Burton C. Bell, dunque, quanto piuttosto una rilettura dei canoni del NYHC su brani come “Another Me”, con cori a profusione e tanto, tanto groove.
Tanto che forse la band si lascia prendere un po' la mano, tirando la discreta opener “Puppets” un pelino oltre le durate canoniche di impatto e superando pericolosamente i sei minuti di durata; va meglio con le suggestioni vicine ai Sepultura di “Straight Ahead”, con un piccolo assolo che non stona affatto nel complesso, perfezionando quel tocco vintage che aleggia sulle composizioni. Personalmente, tra i miei preferiti del disco c'è un episodio come “Hope And The Truth”, in cui i Kazah sembrano aver assimilato la lezione degli Agnostic Front (leggi: il groove è molto, ma senza vocals anthemiche mutuate dall'Oi! non si regge sulle sue gambe) per una track che trasuda a suo modo una sofferenza più “vera” e meno plastica, complici un po' di inserti di chitarra pulita memori di un certo sound wave anni '80 (Depeche Mode e affini). Se poi parliamo di durate “pericolose”, c'è la conclusiva “XIS” e i suoi oltre otto minuti, ma è inutile cercare il pelo nell'uovo: i Kazah fanno le loro scelte con coraggio e senza bisogno di troppe dietrologie da parte nostra, per cui la speranza è di sentir parlare ancora di loro; al momento pare siano in tour in Europa e immagino che la dimensione live sia quella a loro più congeniale, come avviene spesso là dove il connubio tra metal e hardcore predilige l'impatto agli orpelli di contorno.
Recensore: M. Interceptor
Fatta la dovuta premessa, parliamo dei Kazah, un quintetto ungherese in giro dal 2014 e ora fuori con il disco di debutto, “Feed Your Beast”: otto tracce groovy e pesanti che ricordano molto i fasti del power core anni '90, non mancando di dispiegare come influenze primarie gente come i Pro-Pain e tutto quel filone legato ai nostrani Flash Terrorist e Addiction 96. Prima di essere frainteso, lo dico chiaramente: i Kazah non fanno industrial, né hanno inserti legati a quel genere, ma la costruzione “compatta” delle loro composizioni non può che ricordare quanto seminato dai Fear Factory ormai quasi trent'anni orsono, anche se solo dal punto di vista strumentale, con un rifferama melodico che fa da contrappunto alla monolicità delle vocals. Nessuna concessione a respiri melodici di scuola Burton C. Bell, dunque, quanto piuttosto una rilettura dei canoni del NYHC su brani come “Another Me”, con cori a profusione e tanto, tanto groove.
Tanto che forse la band si lascia prendere un po' la mano, tirando la discreta opener “Puppets” un pelino oltre le durate canoniche di impatto e superando pericolosamente i sei minuti di durata; va meglio con le suggestioni vicine ai Sepultura di “Straight Ahead”, con un piccolo assolo che non stona affatto nel complesso, perfezionando quel tocco vintage che aleggia sulle composizioni. Personalmente, tra i miei preferiti del disco c'è un episodio come “Hope And The Truth”, in cui i Kazah sembrano aver assimilato la lezione degli Agnostic Front (leggi: il groove è molto, ma senza vocals anthemiche mutuate dall'Oi! non si regge sulle sue gambe) per una track che trasuda a suo modo una sofferenza più “vera” e meno plastica, complici un po' di inserti di chitarra pulita memori di un certo sound wave anni '80 (Depeche Mode e affini). Se poi parliamo di durate “pericolose”, c'è la conclusiva “XIS” e i suoi oltre otto minuti, ma è inutile cercare il pelo nell'uovo: i Kazah fanno le loro scelte con coraggio e senza bisogno di troppe dietrologie da parte nostra, per cui la speranza è di sentir parlare ancora di loro; al momento pare siano in tour in Europa e immagino che la dimensione live sia quella a loro più congeniale, come avviene spesso là dove il connubio tra metal e hardcore predilige l'impatto agli orpelli di contorno.
Recensore: M. Interceptor
Voto: 7,5/10
Tracklist:
01.Puppets
02.Never Look Back
03.Straight Ahead
04.Before I Die
05.Modern Slave
06.Another Me
07.Hope and the Truth
08.X/S
02.Never Look Back
03.Straight Ahead
04.Before I Die
05.Modern Slave
06.Another Me
07.Hope and the Truth
08.X/S
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